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Casi studio: Ustica, Somalia, Scieri

  • Andrea Sturaro
  • 4 ott 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

La Difesa nel suo decorso ha affrontato diverse crisi, causate da fattori accidentali o da episodi soggettivi interni all’organizzazione. Fra le accuse più discusse nei confronti delle Forze Armate, troviamo la l’incidente aereo di Ustica del 27 giugno 1980, che portò alla morte di 77 passeggieri e 4 membri dell’equipaggio. Si tratta di episodio particolarmente controverso, in cui le cause del sinistro non sono chiare; nel corso degli anni sono state fatte numerose ipotesi, per lo più smentite. A distanza di molti anni, il 22 maggio 2018 la Cassazione ha stabilito che i ministeri di Difesa e Infrastrutture devono risarcire Itavia[1] per “omissione delle attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica" (Binelli, 2018). L’ipotesi più accreditata è che l’aereo si sia trovato in linea di fuoco di un combattimento aereo, che coinvolgeva la milizia francese, libica e statunitense, e che sia stato colpito da un missile lanciato da un altro aereo. Le successive omissioni di colpa e gli occultamenti, hanno sollevato ulteriormente le critiche nei confronti dello stato e della Difesa. È stato accertato che alcune alte cariche delle Forze Armate, hanno manomesso registri ed eliminato numerose tracce che potessero ricostruire l’episodio accaduto. L’omertà che si è protratta per numerosi anni, ha influenzato notevolmente l’opinione pubblica, mettendo in difficoltà l’immagine della Difesa. All’epoca dell’incidente, le strutture comunicative erano prevalentemente unidirezionali, il che rendeva maggiormente complicata l’analisi dell’opinione pubblica e la comunicazione reciproca. Attualmente, in seguito all’accusa nei confronti dello Stato italiano da parte della Cassazione, si ritorna a parlare di Ustica. Il servizio delle Iene[2] del 2 maggio 2017, indaga sui presunti colpevoli delle manomissioni di documenti ufficiali, accusando i massimi vertici dell’aereonautica militare (Grimaldi, 2017). Anche in questo caso, le possibilità di intervento sono molto limitate, e risulta particolarmente difficoltoso agire direttamente in risposta alle accuse.

Agli inizi degli anni ’90, un’altra notizia mette in crisi l’immagine delle Forze Armate; si tratta delle presunte torture da parte dei soldati italiani, dei prigionieri somali. Nel 1993 l’Esercito Italiano ha inviato un plotone di paracadutisti della Folgore[3] in missione di pace in Somalia. L’operazione, organizzata dall’ONU, prevedeva il mantenimento dell’ordine della zona di Mogadiscio e la distribuzione di beni umanitari alla popolazione. Quattro anni più tardi, a missione ormai conclusa, arrivano alcune testimonianze di militari impiegati nel contingente somalo, circa le prevaricazioni commesse dalle Forze Armate italiane. Fra i testimoni, il caporale Michele Patruno e un ex maresciallo dei Tuscania[4], i quali forniscono prove dettagliate degli stupri, torture, e distruzioni volontarie delle abitazioni dei somali (Tedeschini Lalli, 1997). Solo sei anni più tardi, una vicenda analoga, ha sollevato altre discussioni nei confronti della Difesa. Alcuni testimoni militari, dichiarano di aver assistito a torture e violenze nei confronti di prigionieri iracheni durante una missione di pace in Nassiriya. In questo caso si tratta di ipotesi non accertate e subito smentite dal governo e dall’Arma, ma i mass media no si sono fatti “scrupoli” a diffondere notizie e a provocare l’indignazione nell’opinione pubblica. Il noto programma “le Iene”, ancora una volta, ha indagato circa l’accaduto, proponendo un servizio palesemente accusatorio nei confronti delle Forze Armate italiane. Nonostante l’affidabilità del suddetto programma televisivo sia altamente discussa, e certo che esso ha una notevole influenza sull’opinione pubblica. Possiamo citare altri episodi, che hanno coinvolto i mass media, come il nonnismo, con particolare riferimento alla morte del paracadutista Scieri, o il crescente numero di donne “in divisa” e gli episodi di violenza all’interno delle caserme. A questo punto, risulta ormai chiaro che è inevitabile incorrere in eventi o crisi operative in grado di mettere in discussione l’etica dell’organizzazione. La gestione della crisi è dunque un aspetto importante che deve far parte delle Forze Armate, al fine di salvaguardarne la reputazione. Prima di approfondire alcune teorie circa la crisis communication e la gestione da parte della Difesa, è opportuno conoscere tutti gli aspetti della reputazione.

La reputazione è come veniamo percepiti dall’esterno dell’organizzazione; corrisponde all’insieme di opinioni che i pubblici esterni si sono creati, in conseguenza alle relazioni instaurate con l’organizzazione. Emanuele Invernizzi e Stefania Romenti, la definiscono come “Le aspettative sul comportamento o sulle performance futuri di un’organizzazione basate sulla percezione del comportamento e della performance passati dalla medesima organizzazione” (Invernizzi & Romenti, 2013, p11). Si tratta dunque di qualcosa di cui non si ha il pieno controllo. Ciò che possiamo fare è curare le nostre relazioni con i pubblici e influire sul modo in cui essi ci percepiscono. Come abbiamo visto in precedenza, per creare una relazione è necessario un impegno lungo e duraturo, e gli effetti della nostra relazione non saranno immediati ma troveranno un riscontro in particolari circostanze, quali ad esempio, una crisi mediatica. Per governare queste relazioni, è necessario predisporre di un piano di comunicazione atto a convincere gli interlocutori strategici, ad aderire ai progetti dell’organizzazione e ad apprezzare le competenze che la contraddistinguono (Vecchiato & Napolitano, Marketing, 2007). La comunicazione istituzionale ha quindi un ruolo strategico: è in grado di affermare la reputazione e consolidare l’identità sociale[5] dell’organizzazione. Nel caso delle Forze Armate, è doveroso che tutti i membri siano a conoscenza dell’incarico che rivestono (essi stessi) e della funzione riveste l’organizzazione nella società, al fine di poterlo comunicare ad un eventuale pubblico esterno. E’ fondamentale che una buona reputazione venga promossa e condivisa proprio a partire dal personale interno dell’oganizzazione. Far si che tutti siano informati, dal soldato al generale, fa sì che in qualsiasi momento, ciascun membro dell’organizzazione ne diventi un portavoce.

[1] Compagnia aerea coinvolta nell’incidente del 27 giugno 1980


[2] Per la visione integrale del servizio: https://www.iene.mediaset.it/2018/news/ustica-anniversario-strage-dc9-itavia-battaglia-aerea-mario-ciancarella_139591.shtml.


[3] Brigata paracadutisti con sede a Livorno


[4] Battaglione Carabinieri paracadutisti alle dipendenze dell’Esercito Italiano


[5] Quella parte di immagine di sé che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale, unita al valore e al significato emotivo attribuito a tale appartenenza (Tajfel, 1981)

 
 
 

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