L’opinione pubblica italiana in materia di Difesa
- Andrea Sturaro
- 4 ott 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Quando parliamo di opinione pubblica facciamo riferimento ad un insieme di abitudini e pensieri collettivi che appartengono ai cittadini, e come tali sono mutevoli nel tempo. Ma come si origina l’opinione pubblica e perché è importante per la Difesa?
Risulta sicuramente curioso capire perché la collettività, molto spesso, si ritrova ad avere opinioni coerenti circa un tema specifico, a volte anche molto particolare e articolato. Battistelli (2014) sostiene che questo processo ha origine con gli atteggiamenti, cioè l’insieme dei fattori che coinvolgono l’individuo o la collettività, e che portano ad elaborare concetti ed espressioni verso oggetti specifici. L’origine di questi atteggiamenti può risalire ad un fattore biologico (sesso, età), culturale (artefatti elaborati nel tempo dalla popolazione), ideologico (interiorizzazioni assunte in ambito politico), comunicazionale (esposizione ai mass media). L’opinione pubblica, infine, va a crearsi proprio nel momento in cui gli atteggiamenti individuali o collettivi si incontrano con il sistema mediatico (Battistelli, 2014, p.16-17). Questo processo è circolare e si forma grazie al meccanismo dei feedback. Quando una notizia cessa di essere strettamente personale, andando a coinvolgere il pubblico adiacente, assume una certa rilevanza anche per la collettività, diventando un tema di cui si deve parlare (agenda setting). Quando questo tema arriva al sistema mediatico viene riproposto alla sua audience confermando quando era stato ipotizzato. I media, dunque, raggiungono la loro audience costituita sia dall’opinione pubblica che dall’élite politica, andando a modificare gli atteggiamenti dei primi e le decisioni dei secondi. Grazie al meccanismo di feedback i media regolano a loro volta la propria azione confermando quanto sostenuto dalla massa e polarizzando ulteriormente gli atteggiamenti. Diventa a questo punto difficile “depolarizzare” l’atteggiamento della collettività nei confronti di un tema specifico, in particolare quando sembra essere condiviso dalla maggioranza e confermato dai media. La massa, in questo contesto, può essere vista come un gruppo sociale e come tale avvalersi di bias cognitivi[1] tipici dell’ingroup e outgroup (Castelli, 2014). Come sostiene Lippmann (1999), il cittadino comune non può essere costantemente informato, per ragioni di tempo ed energie, su tutte le questioni politiche che uno Stato è tenuto ad affrontare; di conseguenza è più propenso ad omologarsi al pensiero della collettività o del gruppo sociale che più gli appartiene.
Secondo Battistelli, infatti, nella società in cui stiamo vivendo l’opinione pubblica è frammentata in una moltitudine di gruppi sociali e non più articolata in grandi aggregati di classe. In questo modo, i differenti attori di questi gruppi si definiscono secondo un complesso di variabili specifiche e cercano un proprio percorso per l’elaborazione delle opinioni. Questa frammentazione in numerosi gruppi sociali caratterizzati da idee e posizioni proprie va a rafforzare fattori identitari fondati su ciò che l’attore è come individuo e componente del gruppo, a discapito di fattori ideologici che un tempo esprimevano poche ma ampie visoni del mondo.
Queste teorie elaborate da Battistelli ci fanno capire come il processo di creazione dell’opinione pubblica abbia subito dei cambiamenti rispetto al passato e, di conseguenza, ci dà la possibilità di capire come deve adattarsi la comunicazione istituzionale per avere un’influenza reale sulla società. Risulta evidente che un processo comunicativo che si basa sulla relazione è migliore rispetto ad un processo comunicativo unidirezionale, in particolare quando parliamo di audience frammentata e con opinioni molto differenti. Le comunicazioni di massa, infatti, sembrano perdere potere, lasciando spazio ad una comunicazione personalizzata e multidirezionale, possibile grazie all’arrivo dei nuovi media. I messaggi devono essere adeguati all’individuo o al gruppo e sempre più legati alla sfera privata della vita, al ristretto circuito degli affetti e delle relazioni (Buzzo, 2007, pag 17).
Ma tornando agli studi di Battistelli è utile analizzare il tema delle opinioni pubbliche in riferimento alle Forze Armate. Secondo il sociologo, nelle decisioni in politica estera, tutti i leader democratici devono considerare i costi politici interni che possono derivare dalla scelta di partecipare o intraprendere operazioni militari all’estero. L’obbiettivo dei decisori politici dovrebbe essere quello di compiere una scelta in grado di massimizzare i benefici a livello internazionale e minimizzare le conseguenze delle proprie azioni a livello interno. In ogni caso, in un sistema democratico, la decisione del leader può subire dei vincoli, dettati dall’opinione pubblica. È da tenere in considerazione, però, che il peso effettivo dell’opinione pubblica nel processo decisionale è ponderato in base ai rapporti di forza tra le forze politiche e il contesto istituzionale. Nei temi di politica estera, infatti, i cittadini sono meno interessati, in quanto non hanno un riscontro diretto sulla vita quotidiana; ciò comporta una minore propensione a promuovere opinioni in proposito e ad una minore competenza nell’esprimere opinioni valide. Ne deriva che, in temi di politica estera, la democrazia del processo decisionale risulta inefficiente. Come sostengono Holsti e Ole (1992), le opinioni espresse dal pubblico sarebbero estremamente volatili e fortemente emotive e non frutto di una valutazione razionale o quantomeno ragionevole (Holsti & Ole, 1992, p.442).
A questo punto, possiamo chiederci quali sono i casi in cui i leader decisionali sono legittimati a servirsi dello strumento militare. L’uso della forza fa riferimento al concetto di “forza legittima” come strumento a cui può ricorrere lo Stato in determinate circostanze. Ciò che risulta più difficile è distinguere le condizioni che legittimano l’uso della forza. Battistelli identifica sei condizioni che lo qualificano contemporaneamente come legittimo e come efficace:
1) la giustizia del binomio cause/scopi;
2) la competenza del soggetto che delibera;
3) la condivisone da parte dell’élite politica;
4) i metodi e mezzi impiegati;
5) i tempi richiesti;
6) i risultati conseguiti.
Dal soddisfacimento della totalità, o almeno della maggioranza, di queste condizioni scaturisce la legittimazione di un determinato intervento agli occhi dell’opinione pubblica (Battistelli, 2012, p. 23). In questa definizione, i termini leggittimità e legittimazione assumono significati distinti: il primo è un concetto giuridico, il secondo sociologico. Battistelli distigue ulteriormente tra legittimità, che è uno status ed esprime una situazione statica in quanto esito di un processo legislativo, e legittimazione, che è un processo dinamico, soggetto a continui cambiamenti, presente/assente in funzione del tempo e dell’alternarsi degli eventi. Nel caso delle Forze Armate italiane l’uso della forza è legittimo, a patto che si rispettino alcune condizioni imprescindibili, e legittimato non solo da decisori politici ma anche, e soprattutto, dall’opinione pubblica. A conferma di tale affermazione, Battistelli (2012), mostra un sondaggio di opinione in cui emerge l’importanza dell’opinione pubblica mondiale, la quale, in caso di crisi internazionale, predilige l’impiego di mezzi politici, diplomatici, economici, e propone come ultima scelta l’intervento militare (Battistelli, 2012, p.54). In particolare, l’opinione pubblica italiana è caratterizzata da multilateralismo[2] e pacifismo, le cui cause sono da ricercare nell’ideologia italiana creatasi nel secondo dopoguerra. Parlando invece di preoccupazione in termini di sicurezza del Paese gli italiani si appuntano su fenomeni e/o eventi differenti, manifestando nell’ultimo decennio una crescente e diffusa percezione di insicurezza in riferimento a minacce e rischi (Battistelli, 2008).
In definitiva, l’opinione pubblica italiana in materia di difesa risulta pressoché costante nel corso del tempo: se da un lato assistiamo ad una crescente percezione di insicurezza riguardo alla stabilità internazionale, dall’altro resta comunque costante l’idea di non intervenire con la forza, se non come extrema ratio. Alla luce di queste conclusioni, risulta più facile stabilire la strategia comunicativa più efficace per facilitare il processo di legittimazione delle operazioni delle F.A. Gli italiani sono favorevoli alle co-operazioni internazionali purché si tratti interventi umanitari di peace-keeping; sono concordi nel ritenere fondamentale l’interoperabilità al fine di mantenere un equilibrio politico internazionale; e confidano nelle capacità politiche e diplomatiche del nostro Paese.
[1] I bias cognitivi sono costrutti fondati, al di fuori del giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica.
[2] orientamento ad assumere politiche comuni e coordinate in luogo di decisioni unilaterali o azioni bilaterali (Treccani, 2012)
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