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L’origine della comunicazione nelle Forze Armate

  • Andrea Sturaro
  • 4 ott 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Per stabilire l’origine della comunicazione delle Forze Armate è necessario definire cosa si intende per F.A. e ripercorrere il loro processo di formazione. Le Forze Armate corrispondono all’organizzazione militare che uno Stato possiede, includendo persone, mezzi e strutture organizzative. In Italia nascono nel 1861, dall’unione delle forze militari degli Stati preunitari con quelle del Regno di Sardegna. Nel periodo che intercorre fra l’estate del 1859 e l’inverno del 1861, si unirono eserciti e marine, volontari, soldati di leva e ufficiali. Nello stesso anno, l’ufficiale modenese Manfredo Fanti, combattente e generale dell’esercito sardo, firmò l’atto di nascita del nuovo esercito: “l’Esercito Italiano”. Questa formalizzazione, avvenuta il 4 maggio 1861, gli conferisce quel carattere nazionale che l’esercito va assumendo negli anni successivi.

Nel decennio seguente si verificano numerose riforme in parlamento, e, a partire dal giugno 1875, si decreta il principio dell’obbligo generale personale dei cittadini italiani al servizio di leva. La ferma prevista è di tre anni per la fanteria e cinque anni per la cavalleria, sino al trentanovesimo anno di età (Minniti, 2011).

Con lo scoppio della Grande Guerra, partecipano alla leva gli italiani idonei ai requisiti psicofisici, nati tra il 1874 e il 1899. I rami della forza militare sono tre: esercito permanente effettivo, milizia mobile, milizia territoriale. Il reclutamento in tempo di pace prevedeva la "chiamata alle armi"; in questa sede avveniva la prima selezione sia per quanto riguarda la destinazione del candidato coscritto, sia per l''idoneità fisica.

L’esigenza di reclutare personale che si prestasse al servizio militare portò le Forze Armate a sperimentare alcune forme di comunicazione. Inizialmente si trattava di forme improvvisate, ma l’importanza che questo aspetto ha progressivamente assunto nel tempo ha portato alla creazione di veri e propri organi di comunicazione. L’obbiettivo principale era catturare l’attenzione del destinatario, senza preoccuparsi della veridicità del messaggio. Si tratta di una comunicazione unidirezionale, definita con il termine “propaganda[1]”.

In seguito allo scoppio della Grande Guerra, iniziarono quindi le prime forme di comunicazione delle Forze Armate. A testimonianza dello scambio comunicativo tra gli organi di Difesa e il popolo, troviamo i primi strumenti utilizzati dalla propaganda: volantini, cartoline, manifesti e locandine, giornali di trincea, fotografie, cinematografie e opuscoli (La Propaganda di Guerra, 2015).

· I volantini:

“A voi giovani, la tremenda ora storica ci trova ancora perplessi ed esitanti. Non denunziata al popolo, neppure oggi, continua a gravarci pesante del suo mistero, la triplice alleanza; essa deve decisamente essere necessariamente denunziata al popolo d’Italia. Ma avvenga questo o no, il dovere nostro è d’essere al posto di combattimento di chi difende il diritto con la prepotenza” (Fogli e volantini, documenti e immagini della Grande Guerra, 1914).

L’azione dei volantini fu sviluppata in tre direzioni: 1) propaganda sulle truppe per informarle e incitarle alla saldezza morale e alla certezza della vittoria; 2) propaganda sul nemico per debilitarne lo spirito combattivo; 3) contropropaganda sulle truppe e sul nemico, per controbattere tempestivamente ed efficacemente l’azione di propaganda avversaria.

· Le cartoline:

Furono uno dei mezzi più utilizzati dalla propaganda, per via della loro economicità, facilità di produzione, immediatezza nella visualizzazione. Nel corso della guerra, raggiunsero un flusso enorme, grazie al fatto che erano il mezzo postale preferito dai soldati (scrivere era molto faticoso, il tasso d’istruzione era basso e alta era invece la percentuale di analfabetismo tra le truppe). Nei quattro anni di guerra, tra il fronte, il paese e l’esercito, si presume circolarono circa quattro miliardi di corrispondenze, di cui la maggioranza erano cartoline. Allo scoppio del conflitto le cartoline con propaganda della guerra furono stampate soprattutto da editori privati. Assieme a questa produzione, gli istituti di credito si misero a propagandare prestiti di guerra, diffondendo una quantità altrettanto numerosa di cartoline. Successivamente anche le Armate, con l’aiuto del Comando Supremo, stamparono cartoline con numerose vignette di propaganda. Nel mese di giugno del 1918 fu necessario regolamentarne la distribuzione con una circolare: il soldato aveva diritto ogni settimana a tre esemplari in franchigia, che lasciavano più spazio alla scrittura, e a due di propaganda.

· Manifesti e locandine:

Già nel periodo antecedente la Grande Guerra, manifesti e locandine erano molto diffusi. Si trattava di un mezzo di comunicazione pubblicitaria per il commercio, spettacoli e arte.

Con lo scoppio della guerra, i manifesti si trasformarono da strumento pubblicitario a strumento di comunicazione ideologica e politica, per legittimare il conflitto. La produzione nel continente europeo e negli Stati Uniti ebbe un impatto molto evidente. Il manifesto rappresentava il mezzo di comunicazione più potente per avvicinarsi al popolo e convincerlo attraverso parole e immagini. Gli obbiettivi principali erano due, la propaganda pura e la propaganda per prestiti. La spinta a creare slogan e immagini sempre più persuasive ha stimolato la ricerca per il “design”, prestando sempre maggiore attenzione alle composizioni e allo stile di scrittura.

· Giornali di trincea:

I giornali di trincea, a differenza della stampa nazionale, avevano come obbiettivo il dialogare con il soldato in fronte. Al servizio redazionale partecipavano esclusivamente militari o giornalisti in uniforme. Il contenuto dei messaggi era prevalentemente di propaganda umoristica, con aneddoti, filastrocche, canzoni, racconti e illustrazioni.

Negli anni che precedettero il 1918, furono scritti i primi giornali di trincea e stampati al poligrafo con mezzi improvvisati. Si scrivevano tra una pausa dei combattimenti o durante i pasti. Alcuni tra i giornali di trincea sono: Trentino, La scarica e, il più formale, la Vittoria. Dopo Caporetto alcuni di essi cambiarono la loro veste tipografica rudimentale, uscirono dal ristretto spazio del fronte ed ebbero alte tirature con una diffusione a livello nazionale.

· Fotografie e cinematografie:

La fotografia nella Grande Guerra ebbe una duplice funzione: trovava utilità in campo tattico, per la ricognizione, o come mezzo di propaganda.

Durante il conflitto, si istituì una Direzione del Servizio Fotografico presso il Comando Supremo, un Servizio Fotografico Aereo, un Servizio Fotografico Terrestre, ordinati in sezioni e squadre da campagna e da montagna. Questa formalizzazione è nata dall’esigenza di produrre numerose foto, utili come testimonianze o come strumenti di suggestione. In questo periodo, la massiccia produzione fotografica, in grado di documentare anche gli aspetti più “intimi” della guerra, andava a sostituire anche la produzione filmica. Quest’ultima non trovava molto spazio, riducendosi a qualche centinaio di metri di pellicole.

· Opuscoli:

Gli opuscoli, come gli altri strumenti di comunicazione, erano diretti a mobilitare l’opinione pubblica, sollecitare prestiti e sollevare i soldati con l’umorismo.

A differenza dei manifesti, volantini o cartoline, erano più completi, e riuscivano a coinvolgere maggiormente il lettore, con storie ricche di dettagli.

In un’epoca senza media digitali, questi strumenti diventavano un mezzo di comunicazione di massa per potersi avvicinare al popolo. Negli anni seguenti, con il regime fascista, i media non cambiano: l’attenzione è rivolta solamente alla stampa, dimostrando poco interesse ai nuovi media emergenti (Capozzi, 2014). Successivamente il duce, seguendo il modello hitleriano, si rese conto delle potenzialità della radio e del cinema, come strumento per l’esaltazione del regime. Nel 1927, con la nascita dell’EIAR[2], si cominciò a utilizzare la radio per diffondere, in modo semplice e immediato, una grande quantità di notizie. Circa l’uso del cinema, nel 1926, ogni gestore di sala cinematografica doveva obbligatoriamente proiettare pellicole dell’Istituto Luce[3]. Questi nuovi media avevano un grande potenziale: la natura orale del mezzo permetteva di raggiungere anche quella parte di popolazione analfabeta che non aveva accesso alla stampa. Gli sviluppi successivi portarono alla realizzazione di spot radiofonici e brevi jingle[4] che anno coinvolto i cittadini per moltissimi anni.

[1] Il tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto (Treccani, s.d.).


[2] Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, che si trasformò successivamente in RAI (Treccani, Rai - Radio televisione Italiana, s.d.)


[3] Organo tecnico istituito nel 1924 e denominato inizialmente L'Unione Cinematografica Educativa (da cui l'acronimo L.U.C.E., usato comunemente come sostantivo, Luce) con la finalità di propaganda politica e diffusione della cultura attraverso la cinematografia, mediante la realizzazione di cinegiornali e documentari (Brunetta, 2003)


[4] Breve motivo musicale, semplice e facilmente memorizzabile, che nella pubblicità e nei programmi radiofonici o televisivi viene associato a un testo pubblicitario costituito da uno slogan o da una serie di slogan relativi al prodotto reclamizzato o alla trasmissione televisiva che da tale motivo viene introdotta (Treccani, Jingle, s.d.)

 
 
 

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